Cari genitori,
oggi ho deciso di scrivere proprio a voi perchè ieri mi sono travata a un collegio di classe dove ho sentito la paura (per non dire il "terrore") degli insegnanti nel fare il proprio lavoro.
Vi spiego. Una collega ha spinto un bambino che gli stava dando i calci facendolo cadere e i bambini di 5 anni, che hanno visto la scena, hanno iniziato a parlarne. Gli insegnanti si sono allarmati nell'ascoltare i bambini e hanno deciso di parlare del gesto con la collega in questione.
Non sono qui per parlare del gesto per cui tutti, anche la collega stessa, riconosce l'errore sottolineando che ha usato più forza di quello che credeva.
Non sono qui a parlare dei bambini di 5 anni che, giustamente, visto che sono bambini, raccontano con foga l'azione dell'insegnante, non spiegando che il compagno stava dandole i calci. Ciò che fanno gli adulti colpisce di più i bambini!
Vorrei rivolgermi a voi, genitori, poichè io sono rimasta pietrificata dalla paura che gli insegnanti hanno espresso... la paura di voi. Frasi come "Io rinuncio a portare i bambini fuori perchè se cadono i genitori accusano le maestre" o "Piuttosto li lascio giocare liberi, invece di fargli fare delle attività se il correggerli diventa, per i genitori, accusare il figlio". La parola accusare è stata ripetuta tantissimo.
Un giorno un insegnante ha detto a un bambino "Non fare schifezze!" (poichè stava pasticciando col cibo); il giorno dopo i genitori sono venuti a dire all'insegnante di non permettersi di dire al figlio che è una schifezza.
Capisco la paura che avete, anche di fronte ai fatti che ci vengono riportati dai telegiornali, cari genitori, ma abbiate fiducia nel mondo, mettetevi in dialogo con gli insegnanti, fate domande piuttosto che accuse. Chiedete... chiedete... chiedete e chiedete a tutti, non solo a un insegnante.
Quasi tutti gli insegnanti (soprattutto alla scuola dell'infanzia) hanno scelto di fare questo lavoro per passione ma non vuol dire che non possono commettere errori. Questi maestri sono in grado di riconoscere l'errore e di modificarsi. Vi assicuro che può capitare di scegliere di agire in un determinato modo con un bambino e poi, osservando, capire di avere sbagliato. Nella pedagogia dell'errore viene valorizzato l'errore come il percorso per raggiungere la giusta via e il riconoscere l'errore dell'adulto di fronte a un bambino permette al bambino stesso di imparare che l'errore fa parte della vita e si può rimediare ad esso.
Cari genitori, non abbiate una fiducia cieca verso gli insegnanti, ma cercate di costruire (insieme a loro) un clima positivo perchè questo passerà ai vostri figli. Se gli insegnanti hanno paura, i bambini cosa imparano? Se voi sparlate o non riconoscete il ruolo degli insegnanti, i bambini cosa imparano? Jesper Juul scrive "I genitori hanno sempre la responsabilità fondamentale di creare l'atmosfera della famiglia, ossia la qualità dell'interazione, nella quale ogni individuo possa crescere in senso positivo." Possiamo allargare il significato di questa frase sostituendo il soggetto con "i genitori e gli insegnanti" e la parola "famiglia" con la parola "scuola". Aiutiamo i bambini a crescere in senso positivo!
Cari genitori, siate testimoni affezionati e attenti di ciò che accade ai vostri figli, non sentitevi sentinelle pronte a sferrare un colpo nel momento in cui da lontano sentite una qualunque "minaccia". Vegliate per proteggere, ma anche per raccontare al vostro bambino come ha superato delle difficoltà, come un insegnante ha impiegato tempo a capire come raggiungere un obiettivo con lui, come gli siete stati vicino di fronte a un ostacolo... Siate testimoni della storia del vostro bambino affinchè lui non la dimentichi!
La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi. (Bruce Chatwin)
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lunedì 29 gennaio 2018
Cari genitori...
domenica 21 gennaio 2018
La settimana
canzoncina della settimana su YOU TUBE
Nelle Indicazioni Nazionali si legge, fra i traguardi di competenza del campo di esperienza "conoscenza del mondo", "Sa collocare le azioni quotidiane nel tempo della giornata e della settimana. Riferisce correttamente eventi del passato recente; sa dire cosa potrà succedere in un futuro immediato e prossimo.".
Insegnare ai bambini la scansione del tempo mi sto rendendo conto che è molto complesso perchè bisogna collegare l'astrazione di alcune parole (come i giorni della settimana, ma anche i mesi) a qualcosa di concreto che li aiuto a comprendere il loro significato reale.
Passare dalla memorizzazione di una "filastroca" (i nomi dei giorni della settimana in sequenza) al comprenderne il significato richiede cura, attenzione, ripetizione, concretezza da parte dell'insegnate.
Cosa può aiutare? Il calendario quotidiano, sicuramente. Un lapbook? Può essere utile aiutare i bambini spiegando cosa fanno ogni giorno a scuola e poi magari arricchirlo con la loro settimana a casa?
Prima della settimana, bisogna capire la giornata (mattina, pomeriggio, sera, notte) e poi la sequenza dei giorni (ieri, oggi, domani).
Penso quindi che il "tempo", in quanto traguardo fondamentale della scuola dell'infanzia, richiede attività specifiche ma anche quotidianità e collaborazione con la famiglia.
Continuerà ad osservare il lavoro degli insegnanti riguardo a questo tema perchè ho solo da imparare!
sabato 20 gennaio 2018
Il paracadute
Ieri ho giocato con i bambini con il paracadute insieme a un'insegnante del team.
Il paracadute è un telo circolare suddiviso in spicchi colorati con delle maniglie con cui coi bambini si possono realizzare moltissime attività e giochi motori. E' uno strumento importante per sviluppare la condivisione e la collaborazione.
L'insegnante ha proposto diversi giochi che mi scrivo per non dimenticare.
1. Seduti a gambe incrociate in cerchio alzare a abbassare il paracadute insieme. Le mani devono essere rivolte verso il basso e col pugno tenere il telo.
2. Seduti, tenendo insieme il telo al via della maestra si alza e ci si guarda da sotto.
3. Seduti tirare il telo verso la propria pancia e muovere le gambe sotto.
4. Mentre tutti seduti tengono il telo due bambini si scambiano di posto strisciando sotto il paracadute.
5. In piedi girare insieme in senso antiorario e poi orario facendo un girogirotondo e tenendo il telo teso con una mano.
6. Alcuni bambini sono sotto al telo, altri all'esterno che lo tengono. Il paracadute viene alzato e abbassato.
7. Il teloè appoggiato a terra. I bambini corrono nello spazio (ma non sul telo), quando la maestra dice un colore i bambini devono disporsi davanti allo spicchio del colore nominato.
8.Sdraiati tutti sul telo ci si rilassa e si ascolta il silenzio.
9. Sdraiati sul telo si muovono le gambe (su e giù- a bicicletta...)
I bambini si sono divertiti un sacco!!!!
Al termine del gioco ho chiesto ai bambini di disegnarmi cosa hanno fatto con la mestra poichè credo che il disegno o il racconto sono due modi per raccontare, ma anche rielaborare e memorizzare le esperienze vissute.
Oggi ho imparato moltissimo!
giovedì 18 gennaio 2018
IL PINGUINO
Qualche giorno fa mi sono ritrovata ancora senza un'insegnante e ho seguito il gruppo dei 5 anni.
A causa dell'influenza erano pochini e questo mi ha permesso di fare un piccolo cerchio e chiacchierare con loro. A scuola stiamo parlando dell'inverno e ho chiesto loro se conoscevano il pinguino?
Mi hanno detto di sì, qualcuno mi ha detto che l'ha visto all'Acquario (di Cattolica, uno) e qualcuno si è collegato con le foche. Ho chiesto dove abitava il pinguino e mi hanno detto al freddo, al polo Nord. Ho chiesto se sapevano come era fatto il Polo Nord e lì sono rimasti zitti. Ho nominato il ghiaccio, dicendo simile a quello dei ghiaccioli e lì, uno di loro mi ha detto: "In estatte i ghiaccioli li porta il pinguino!".
Dopo questa chiacchierata ho proposto loro di fare un PINGUINO, partendo dalla loro mano.
Io, su un foglio bianco ho disegnato la loro mano, che loro hanno colorato di nero. In seguito ho preparato dei dischetti biachi da tagliare e gli ho chiesto di tagliarli. Infine, vicino a me, ncollavano il cerchio bianco sulla loro mano nera, poi due pallini piccoli bianchi (dove poi facevano un puntino nero) e per ultimo un quadrato arancione piegato che diventava il becco.
Durante il lavoro individuale vicino a me, io seguivo un bambino alla volta e gli altri osservavano.
Due riflessioni ho portato a casa:
- l'importanza dell'osservazione reciproca perchè imparare nasce dall'osservare e non solo dall'ascoltare;
- l'importanza di conoscere la turnazione poichè aspettare è faticoso ma credo che sapere che arriverà il mio turno è rassicurante e rende l'attesa piacevole.
Bravi grandoni!
mercoledì 17 gennaio 2018
Materiale di riciclo a scuola (episodio 1)
Ho una formazione di base REMIDIANA poichè pur non essendo un atelierista ho fatto tre formazioni durante la mia storia professionale e ho avuto la fortuna di poter andare a Reggio Emilia.
Cos'è Remida? Il Centro di riciclaggio creativo ( http://www.remida.org/ ). "Promuove l’idea che lo scarto, l’imperfetto, sia portatore di un messaggio etico, capace di sollecitare riflessioni, proporsi come risorsa educativa, sfuggendo così alla definizione di inutile e di rifiuto.".
Arrivo dal un'esperienza pluriennale di asilo nido, dove quotidianamente proponevo ai bambini il gioco euristico, che utilizza oggeti di recupero e di uso quotidiano (es mollette) per fare sperimentare ai bambini la relazione con il mondo. ( https://www.nostrofiglio.it/bambino/bambino-1-3-anni/giochi-per-bambini/giochi-bambini-1-2-anni-da-fare-in-casa-il-gioco-euristico )
Ho portato queste due mie esperienze in una mattinata con i bambini di 3 anni che fatica a concentrarsi e che spesso litigano.
Nell'aula ho tolto tutti i "classici giochi" e ho proposto oggetti diversi... Oggi devo dire che ognuno ha trovato un suo interesse, il tempo di concentrazione è variato da bambino a bambino e le relazioni fra loro sono state più pacifiche.
Cosa è piaciuto di più?
I tappi di sughero che hanno impilato, delle scatole piccole da aprire e chiudere (alcuni bambini cercavano cosa metterci dentroe dicevano "grande" o "piccolo"), inserire i pennarelli (senza inchiostro) in delle bottigliette, appendere e togliere le mollette da uno spago, accarezzarsi sul viso con i pon pon.
Inoltre hanno quasi tutti aiutato a riordinare riconoscendo dove dovevano essere posti gli oggetti!
Sono molto soddisfatta!!
martedì 16 gennaio 2018
QUADRI IN GRUPPO
Oggi, manca ancora un insegnate e io lavoro con i 5 anni... improvvisando!
Stiamo parlando a scuola dell'inverno e decido di fargli fare un quadro in piccoli gruppi.
Insieme al gruppo dei 5 anni, in cerchio spiego il lavoro della giornata: "Oggi fate gli artisti e in gruppi da 4 dovrete realizzare un quadro con le tempere che descriva l'inverno".
I bambini sono entusiasti.
Decido di organizzare i gruppi separando i sessi perchè sto notando che in generale le femmine mi sembrano più unite e organizzate dei maschi, in questo modo verifico la mia osservazione.
Nel formare i gruppi ci sono bambini che decido di separare ma non tutti sono daccordo, però l'idea della pittura motiva i bambini che facilmente accettano di lavorare con altri.
Organizzo i gruppi su tavoli diversi dove pongo un cartoncino grande nero, e ogni bambino riceve il suo pennello. Gli dico: "Vi do il colore bianco... poi che colore volete?". Mi chiedono il blu, il rosso, il verde, il giallo e il rosa.
Il rosa per fare le persone. Il verde gli dico che lo possono creare facendo una magia, unendo il giallo col blu. Questo gioco piace molto e iniziano a mischiare i colori creando così il grigio e il viola.
Le bambine prima di mettersi a lavorare parlano fra loro, i maschi no. Tra i maschi un bambino prende gran parte del cartellone per il suo progetto, gli altri si limitano nel colorare, ma mi chiedo come potrei aiutarlo a fare un progetto insieme agli altri.
Le femmine creano un vero paesaggio, ognuna lo arricchisce in maniera personale ma si vede un progetto comune (anche solo nella disposizione degli oggetti nel foglio), i maschi invece disegnano segni uno accanto all'altro.
Questa esperienza mi ha insegnato che i bambini (e forse anche noi adulti, spesso ) faticano a rralizzare un progetto insieme, ma credo che sia un obiettivo importante che parte dalla vicinanza degli oggetti e arriva al dialogo per vlelaborare un progetto comune.
lunedì 15 gennaio 2018
I nastri di ginnastica ritmica
Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di osservare un'insegnante far giocare con la musica e con i nastri da ginnastica ritmica i bambini di 5 anni.
I nastri sono molto lunghi e riescono a realizzare dei veri e propri disegni nell'aria.
I bambini sono rimasti affascinati da questa attività, sia quando sono stati loro a muovere il nastro, sia quando osservavano i loro compagni farlo.
Io, intanto, osservavo le loro azioni:
- ogni bambini ha una propria forza e chi ha più energia riesce a muovere molto velocemente il nastro usando molto il braccio e poco il resto del corpo;
-ogni bambino ha un'ampiezza di movimento diversa (c'è che muove solo davanti a sè, chi si muove anche lateralmente);
-ogni bambino ha una propria gestualità (c'è chi crea cerchi, chi crea serpenti, chi lo muove a linee...)
Usare il nastro significa prendere consapevolezza del proprio corpo dove il movimento però deve essere molto controllato non solo per scegliere i "disegni" da fare, ma anche per evitare che il nastro si annodi. Mano, braccio e occhi devono agire insieme all'inizio e poi si può ampliare con anche le gambe (muovendosi avanti e indietro) e il busto (su e giù).
Ho pensato che è un attrezzo affascinante che dovrebbe essere riconosciuto come uno strumento "indispensabile" alla scuola dell'infanzia.
Inoltre l'insegnante ha detto ai bambini: "Oggi lo avete esplorato, siete stati bravi ma vedrete che la prossima volta lo sarete di più e più ci eserciterete più sarete bravi". Una bambina poi nel pomeriggio mi ha detto: "Sono stata brava oggi col nastro, ma la prossima volta lo sarò di più... mi eserciterò".
Un bellissimo messaggio, a mio parere: non si impara in una volta ma ripetendo le cose molto volte.
Grazie per la bella esperienza!
sabato 13 gennaio 2018
Rileggendo "Il bambino è competente"
Chi non ha mai letto questo libro? Io lo adoro e lo ritengo un libro che deve trovarsi in ogni libreria di un educatore e/o genitore. In questo libro, Jesper Juul, terapista familiare, aiuta il lettore a riflettere sulle dinamiche relazionali in famiglia, ma non solo.
Ieri ho riletto il capitolo 6 "I limiti". L'autore scrive "Una volta gli adulti fissavano i limiti intorno ai bambini. Io propongo che oggi gli adulti definiscano i limiti per se stessi". Questa frase è anticipata da una descrizione dell'evoluzione della società moderna, che è passata da valori (e quindi regole) condivise a valori (e regole) differenziate per singoli, gruppi, famiglie.
In questo contesto scrive che l'adulto non dovrebbe più imporre le regole con un "è così" ma dire "Io voglio che qui si faccia così". Per esempio non si dovrebbe più dire "In casa non si usano le scarpe", ma piuttosto "Nella nostra casa io voglio che non si usino più le scarpe!". Al momento la frase "Io voglio" , che a me è sempre stato detto "non si dice", mi ha dato fastidio; perchè io adulto devo dire "voglio" o "non voglio"? Se io mi autorizzo a dire ciò, anche il bambino può farlo.
Con questo pensiero sono entrata in classe. La mattinata è stata intensa a causa dell'assenza di una maestra e dell'uscita anticipata di un'altra ed io mi sono trovata a avere in classe 30 bambini (tra cui i bambini DVA) per 45 minuti... che fatica! In questa situazione di caos la mia priorità era la salvaguardia di tutti. Un bambina mi si avvicina e mi dice:"Maestra, puoi aiutarmi a scrivere sul foglio?". Io le ho risposto: "Perdonami, ma siete in tanti e ora non riesco ad aiutarti perchè devo osservare la classe". Nel dirglielo l'ho guardata, ma appena ho finito la frase ho alzato gli occhi verso l'aula e lei si è allontanata da me. Posso capire se c'è rimasta male, ma credo di aver messo in atto quello che diceva Jesper Juul (che differenziava anche fra limiti validi sempre e limiti legati a determinate situazioni), ho messo un limite dicendo un no, ma l'ho fatto partendo da me.
Ora credo che il suo "Io voglio", non abbia quel carattere impositivo ma piuttosto personale e quindi posso sostituirlo in "Io vorrei che in questa casa non si usassero le scarpe perciò vi chiedo di aiutarmi a tenerla pulita".
Ieri ho riletto il capitolo 6 "I limiti". L'autore scrive "Una volta gli adulti fissavano i limiti intorno ai bambini. Io propongo che oggi gli adulti definiscano i limiti per se stessi". Questa frase è anticipata da una descrizione dell'evoluzione della società moderna, che è passata da valori (e quindi regole) condivise a valori (e regole) differenziate per singoli, gruppi, famiglie.
In questo contesto scrive che l'adulto non dovrebbe più imporre le regole con un "è così" ma dire "Io voglio che qui si faccia così". Per esempio non si dovrebbe più dire "In casa non si usano le scarpe", ma piuttosto "Nella nostra casa io voglio che non si usino più le scarpe!". Al momento la frase "Io voglio" , che a me è sempre stato detto "non si dice", mi ha dato fastidio; perchè io adulto devo dire "voglio" o "non voglio"? Se io mi autorizzo a dire ciò, anche il bambino può farlo.
Con questo pensiero sono entrata in classe. La mattinata è stata intensa a causa dell'assenza di una maestra e dell'uscita anticipata di un'altra ed io mi sono trovata a avere in classe 30 bambini (tra cui i bambini DVA) per 45 minuti... che fatica! In questa situazione di caos la mia priorità era la salvaguardia di tutti. Un bambina mi si avvicina e mi dice:"Maestra, puoi aiutarmi a scrivere sul foglio?". Io le ho risposto: "Perdonami, ma siete in tanti e ora non riesco ad aiutarti perchè devo osservare la classe". Nel dirglielo l'ho guardata, ma appena ho finito la frase ho alzato gli occhi verso l'aula e lei si è allontanata da me. Posso capire se c'è rimasta male, ma credo di aver messo in atto quello che diceva Jesper Juul (che differenziava anche fra limiti validi sempre e limiti legati a determinate situazioni), ho messo un limite dicendo un no, ma l'ho fatto partendo da me.
Ora credo che il suo "Io voglio", non abbia quel carattere impositivo ma piuttosto personale e quindi posso sostituirlo in "Io vorrei che in questa casa non si usassero le scarpe perciò vi chiedo di aiutarmi a tenerla pulita".
lunedì 8 gennaio 2018
Rientro... con sorpresa
Oggi si rientra! Ore 9 al lavoro e una mia collega non c'è, la collega di classe decide di fare l'orario spezzato e io-insegnante di sostegno- mi trovo nell'orario centrale sola con i 25 bambini della classe (compresi i miei bimbi del sostegno).
E' stata una bella prova per me perchè senza aver programmato mi sono ritrovata con 25 bambini di età mista a gestire momenti di gioco, il bagno e il pasto. I bambini mi hanno stupito per diversi motivi:
- la collaborazione che hanno dimostrato;
- l'ascolto, anche di quelli "che non ascoltano mai";
- la pazienza.
Non posso dire di non aver urlato perchè ho dovuto più volte richiedere l'ordine e il silenzio, ma che soddisfazione vederli giocare serenamente su un'attività improvvisata, vederli seduti ad aspettare il proprio turno in bagno; vederli accettare l'attesa al pasto.
Cosa devo imparare? Innanzitutto che un'ora è molto per loro, anche per un gioco motorio e lo spiegare li sostiene ad accettare anche momenti faticosi (non diamo mai nulla di scontato!)
Cosa mi confermo? La richezza della relazione fra bambini di età diverse, l'importanza dei rituali, il valore dell'esplorazione nel gioco.
Mi piacciono un sacco!
sabato 6 gennaio 2018
Open Day... la mia presentazione
Questa che vedete è la slide con cui vorrei presentare ai genitori il lavoro che facciamo rispetto ai bambini con BES e che io sto seguendo in quanto insegnante di sostegno.
Ho pensato di puntare su due elementi:
- sull'importanza che sia non solo l'insegnante di sostegno a farsi carico di questi bambini, ma anche tutto il corpo docenti e l'intero istituto;
- sull'inclusività poichè credo che riconoscere un bisogno speciale alla scuola dell'infanzia sia fondamentale per aiutare il bambino a crescere nei anni successivi in un contesto sociale e si valorizzazione reciproca.
Ciò che vorrei dire sarebbe questo.
Con la direttiva del 27 dicembre 2017,
la scuola pubblica italiana inizia a parlare di Bisogni educativi
speciali. I bisogni educativi specili è qualsiasi difficoltà
evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito
educativo e/o apprenditivo che necessita un'intervento educativo
speciale individualizzato.
Bambini con bisogni educativi speciali
necessitano di attenzione e cura di cui si prende carico l'intero
istituto comprensivo, tutti gli insegnati e il personale della scuola
e l'insegnante di sostegno, in un'ottica inclusiva.
L'istituto redige all'interno del POF
annuale, il PAI (Piano annuale dell'inclusione) che ha il compito di
individuare le risorse necessarie per creare un contesto educante. Il
PAI viene redatto dal GLI (gruppo di lavoro per l'inclusione) che ha
il compito di organizzare, monitorare e verificare il livello di
inclusività delle scuole.
Gli insegnanti, in particolare
l'insegnante di sostegno, hanno il compito di redigere il PEI.
L'insegnante di sostegno svolge nell'equipe la funzione di “lente
di ingrandimento” e di “bastone” rispetto ai bambini
affidatigli e svolge un ruolo importante di integrazione e
collegamento con i servizi, le strutture che interagiscono con il
bambino.
Il PEI è lo strumento con cui vengono
programmati gli interventi finalizzati al perseguimento di specifici
obiettivi in relazione ai bisogni individuati.Tutti i bambini sono
diversi, ma i bambini per cui si redige un PEI sono bambini che per
causa diverse (fisiche, mentali, sociali) necessitano di competenze
specifiche e interventi mirati.
In questo contento il PEI si struttura
partendo dalle osservazioni di tutti gli insegnanti, dalla diagnosi
funzionale che gli specialisti (neuropsichiatri infantili,
logopedisti..) redigono, nella quale vengono descritti le condizioni
del bambino nei vari aspetti della sua personalità. E dal confronto
con la famiglia, a cui viene presentato e di cui si discute insieme.
Nel PEI sono quindi esplicitati
obiettivi di apprendimento specifici per il bambino e individuati
risorse e progettualità individuali.
L'ottica INCLUSIVA, che caratterizza la
scuola italiana (“una scuola per tutti e per ciascuno” -
Indicazioni Nazionali del 2012), si realizza nella quotidianità
quando gli insegnanti sono sensibili e competente nel riconoscere i
bisogni dei singoli ed attivare strategie, in collaborazione con la
famiglia, per sostenere, accompagnare, anche per un breve periodo
della sua vita, il bambino.
La scuola diventa veramente INCLUSIVA
quando riesce anche a valorizzare le diversità, rendendo la
specificità dei singoli un valore aggiunto sia per la “sfida”
pone a se stessa sia per le possibilità che essa apre agli altri
(bambini e famiglie).
AGGIORNAMENTO
I miei colleghi sono rimasti soddisfatti dal mio lavoro, ma leggendo il materiale interno all'istituo comprensivo ho pensato di dare più visibilità al termine "INCLUSIONE".
Ora aspettiamo l'open day...
venerdì 5 gennaio 2018
Inizia il 2018 e si parla dei sacchetti della frutta e della verdura
Sono rimasta sconvolta,
educativamente parlando, dalla polemica sulle buste di plastica a
pagamento nei supermercati. Cosa imparano i bambini da noi
adulti che di fronte a un cambiamento “minimo” alziamo un
polverone? Non penso che sia del tutto giusta questa normativa, ma
credo che possa aiutarmi a prendere coscienza di “qualcosa di
importante” che riguarda la società in cui viviamo. Potremmo dire
“Voglio insegnare a mio figlio a lottare in ciò che crede!”
“Voglio insegnare a mio figlio a dire ciò che pensa!” ma
ricordiamoci che se noi diciamo queste frasi spesso dobbiamo farci
anche alcune domande: Per cosa voglio che mio figlio impari a
lottare? Quando vale la pena che mio figlio dica e non ascolti?
Quotidianamente mi
incontro e scontro con persone che magari mi dicono: “Beh, sì,
faccio la raccolta differenziata... qualche volta” o “Butta tutto
nel secco!”.
Io non credo di essere
una persona fissata ma... siamo consapevoli di perchè è importante
riciclare? Siamo consapevoli che il futuro del nostro ambiente
dipende da noi? Educarci ed educare a prestare rispetto e cura al
mondo che ci circonda è un modo per salvaguardare il futuro...
Insegnamo ai bambini a
raccogliere differenziando la spazzatura, oltre a raggiungere un
obiettivo a lungo termine, li aiutiamo anche a riconoscere e
differenziare i materiali, che è un lavoro anche cognitivo!
Insegnamo loro a non
sprecare: non sprecare il cibo, non sprecare la carta, non sprecare
la plastica...
Certo, la normativa sulle
buste alimentari dei supermercati probabilmente ha un doppio
obiettivo, ma prendiamola come un modo per imparare a non sprecare.
Ogni oggetto che abbiamo in casa, che usiamo quotidianamente è
frutto di un lavoro, dove interagiscono materie, uomini e macchine.
Se insegnamo a non sprecare insegnamo anche a rispettare l'ambiente,
l'altro e il lavoro. Non diamo niente per scontato!!! Siamo fortunati
perchè viviamo in una società ricca ma ricordiamoci che siamo
gocce in un oceano... quel poco che noi facciamo, se lo facessimo
tutti, sarebbe enorme!
Insegnamolo ai bambini!!!
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